Riprendiamo articolo da Legambiente.it
Il suolo è una risorsa non rinnovabile che l’uomo, con le sue attività, ‘consuma’: le abitazioni, le strade, le ferrovie, i porti, le industrie occupano porzioni di territorio trasformandole in modo pressoché irreversibile. Il ritmo di questi processi è cresciuto a parallelamente allo sviluppo delle economie: quello dell’aumento del consumo di suolo è un fenomeno globale, ma che è più problematico in paesi di antica e intensa antropizzazione come l’Italia, in cui, per la scarsità di suolo edificabile, l’avanzata dell’urbanizzazione contende il terreno all’agricoltura e spinge all’occupazione di aree sempre più marginali, se non addirittura non adatte all’insediamento, come quelle a rischio idrogeologico.
Nel nostro Paese è ancora fortissima la tendenza a cementificare disordinatamente il suolo libero: l’abusivismo edilizio in particolare nel Sud, la crescita a macchia d’olio delle città, l’integrale urbanizzazione di lunghi tratti delle coste hanno segnato lo sviluppo territoriale dell’Italia contemporanea. “L’urbanizzazione si manifesta in forme sempre più pervasive e complesse – si legge nel rapporto sulla Situazione del Paese 2008 dell’Istat – e ha conosciuto, negli ultimi decenni, un’accelerazione senza precedenti, relativamente autonoma rispetto agli andamenti demografici ed economici”. Si costruisce, infatti, per altre ragioni: per portare soldi nelle casse dei Comuni, per la mancanza di abitazioni in affitto, che crea una domanda di case a poco prezzo lontane dai centri abitati. Anche strade e autostrade, spesso, si realizzano soprattutto per rendere fabbricabili le aree attraversate. Una tendenza che ci allontana dalle migliori esperienze europee, dove l’attività immobiliare si concentra spesso nella riqualificazione dei cosiddetti “brown fields”, le aree ex-industriali.
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